IMPRESE A PICCO, MA RIPRESA POSSIBILE

domenica 14 gennaio 2024

Un crollo che fa rumore, perché ben più pesante della media tricolore. Ma chi è rimasto in piedi, dopo le batoste subite, ha sviluppato potenti anticorpi per andare avanti, tracciando un solco anche per le start-up, tanto da riguadagnare il terreno perduto e segnare, negli anni post Covid, una notevole ripresa. In estrema sintesi, è l’andamento dell’attività manifatturiera in Sicilia fotografato dal nuovo report della Cgia di Mestre, che fa il punto sull’industria italiana. Segnali nell’ultimo quindicennio, registrando in +1,8% di tutto il Paese, tra il rispetto 2007 al 2022, un calo avanti p del valore aggiunto altre are reale (al netto dell’inflazione) pari all’8,4%, tradizio che nell’Isola arriva a più velo toccare quota -43,3%: tra le regioni, il risultato peggiore, superato solo dalla Sardegna, che si attesta a -52%, mentre l’intero Mezzogiorno si ferma a -27% e solo quattro territori chiudono con il segno più davanti, ossia Basilicata, Trentino-Alto Adige, Emilia-Romagna e Veneto. Tradotto in euro, significa che le industrie siciliane, nel periodo considerato dallo studio, hanno perso quasi 5 miliardi. Inevitabilmente, anche le performance delle province siciliane non hanno certo brillato. Caltanissetta, in particolare, si piazza al penultimo posto in scala nazionale con un -39%, staccando Messina (-25%), Enna (-16,7%), Trapani (-15%), Agrigento (-13,8%), Catania (-13,3%), Ragusa (-12,3%) e Siracusa (-3.3%). Fa eccezione la manifattura di Palermo, che è andata in rialzo dell’1,8% in termini di valore aggiunto, archiviando il 2022 con un miliardo e 600 milioni di euro. Ma come spiegare il crollo? Le motivazioni, chiarisce al nostro giornale Paolo Zabeo, responsabile dell’Ufficio studi dell’associazione artigiana, «sono le stesse che hanno ostacolato positivi con un l’economia italiana. Ricordiamo che dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi gli ultimi 15 sono stati gli anni più difficili, caratterizzati dalla grande recessione del 2008-2009 scatenata dai mutui «sub-prime», dalla crisi dei debiti sovrani del 2012-2013 e, più di recente, dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina. Tutti fattori che, evidentemente, nell’Isola hanno inciso di più, mettendo in difficoltà un settore il cui Pil è sempre stato storicamente più contenuto rispetto ad altre regioni». Va anche sottolineato, continua Zabeo, «che a livello nazionale a subire la contrazione maggiore è stato il comparto petrolifero, giù del 38%: un trend che non ha risparmiato la Sicilia, perlomeno il versante orientale, dove questo ramo industriale, tra estrazione e raffinazione, è particolarmente sviluppato». Detto ciò, bisogna anche evidenziare il rovescio della medaglia, «gli anni post Covid, in cui la regione, al pari di altri territori, ha dimostrato grandi capacità di resilienza, tanto che le imprese siciliane rimaste sul mercato hanno superato di slancio gli effetti negativi provocati dalla crisi pandemica». Non a caso, secondo un altro, recente report dell’associazione, l’economia isolana ha chiuso il 2023 con un +1,8% di Pil rispetto al 2019, più di quanto hanno fatto zone tradizionalmente più veloci in termini di sviluppo come Piemonte, Liguria e Toscana. Lo sa bene Luigi Rizzolo, presidente di Sicindustria, secondo cui «guerre, tassi di cambio sfavorevoli, calo della domanda di carburanti e prodotti chimici sono alla base dei numeri riportati dalla Cgia. È chiaro, poi, che in una economia più fragile come quella siciliana, e più in generale come quella dell’intero Sud-Italia, le ripercussioni siano più evidenti. Non a caso la Svimez, già un anno fa, aveva previsto che un inasprimento della politica monetaria avrebbe avuto effetti depressivi più pronunciati nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord. Ma occorre anche guardare il bicchiere mezzo pieno. Perché se tutto questo è vero, è altrettanto vero che l’industria manifatturiera, pur tra mille difficoltà, resta un nostro fiore all’occhiello; che il comparto delle costruzioni è cresciuto in Sicilia a ritmi più sostenuti rispetto a tante altre regioni d’Italia; che l’agroalimentare, settore dalla duplice matrice agricola e industriale, continua a mostrarsi particolarmente attivo sotto il profilo dell’export e che, in uno scenario caratterizzato da dipendenze energetiche e produttive strutturali da mitigare e da obiettivi europei di sviluppo sostenibile da raggiungere, l’Isola ricopre un ruolo di primaria importanza in alcuni ambiti tecnologici e produttivi. Basti pensare all’esperienza di Enel-3Sun, la fabbrica del sole più grande d’Europa che si trova proprio nel cuore dell’Etna Valley. Ciò che occorre è quindi lavorare per ampliare e integrare le filiere produttive strategiche a elevato contenuto di innovazione, perché solo così potremo contrastare la fuga delle competenze e spingere sui processi di innovazione e ammodernamento produttivo. Io non dispero affatto. Anzi, guardo al futuro con grande ottimismo». (*ADO*)


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