GIUSEPPE RUSSELLO A REPUBBLICA PALERMO: NON SOLO TURISMO, SERVE L`INDUSTRIA

mercoledì 22 febbraio 2023

«In un tempo recente Palermo e la sua provincia ospitavano aziende come Italtel, Ansaldo Breda, Keller, Fincantieri, la stessa Fiat, e potrei continuare. Adesso questo tessuto produttivo manca perché c'è stato un errore strategico». Pino Russello, presidente di Sicindustria Palermo, guida uno degli ultimi colossi dell'industria in senso stretto nell'Isola: da Carini la sua Omer - acronimo di Officine meccaniche Russello - è sbarcata a Piazza Affari appena 30 anni dopo essere stata fondata, ma la sua azienda è una mosca bianca. «Il tessuto produttivo - annota - non è figlio di un algoritmo, di un'alchimia indipendente da quel che è successo in Sicilia negli ultimi 50 anni».
Cioè cosa?
«Il passo indietro cui accennavo. Sono ovviamente legato alle imprese manifatturiere, quindi forse sono di parte, ma è l'industria che crea valore aggiunto trasformando materia prima in prodotto finito».
Invece c'è uno slittamento verso i servizi. «Se sostituiamo l'industria con commercio e turismo, perdiamo valore aggiunto. Ma vale per tutta Italia. Abbiamo pensato di spostare le fabbriche in Cina e vivere di servizi. Oggi assistiamo a un reshoring importante. Dobbiamo essere capaci di portare quelle fabbriche qui. Dovremmo: non ci riusciamo».
Perché?
«Perché non siamo attrattivi».
Risposta implicita. Esplicitiamola.
«La politica non ha avuto la visione di rafforzare il tessuto infrastrutturale. Arrivare a Palermo è un problema. E poi abbiamo abbandonato le zone industriali, che dovrebbero essere il punto di riferimento delle aziende manifatturiere. Quelle che assumono con contratti nazionali».
Adam Asmundo, su Repubblica, ha puntato il dito anche contro le aziende, accusate di volare basso.
«Ma dice anche un'altra cosa, che trovo del tutto condivisibile: è evidente che i livelli professionali bassi vengono remunerati con bassi stipendi. Abbiamo rinunciato alla prospettiva dello sviluppo».
L'altro tassello è la ricerca del posto fisso. Forse comprensibile, in questo deserto.
«Sì, ma è un sistema che non regge. A Palermo solo il 49 percento del reddito è prodotto dal lavoro dipendente. Il resto proviene da nero e autonomi. Non mi meraviglia che i ragazzi vadano via. È un circolo vizioso senza uscita. Serve una rivoluzione culturale».
Che si sostanzia in cosa, nel Pnrr?
«Il gap che dobbiamo recuperare è atavico. Le risorse del Pnrr sono importanti, ma bisogna dire che al Meridione, dalla Cassa dei Mezzogiorno in poi, i contributi non sono mai mancati. È mancata la messa a terra».
La messa a terra compete agli esecutori. Cioè le imprese.
«Non se dobbiamo far partire un'opera pubblica e passano mesi per il progetto. Non se il Comitato tecnico-scientifico, per restare alle polemiche di questi giorni, blocca un investimento per anni. Una parte del pubblico non collabora».
Sono stati fatti tanti tentativi di sburocratizzazione, però.
«Resta un fatto. Occorre una fatica enorme per fare arrivare un foglio da una scrivania a un'altra».
L'autonomia differenziata può peggiorare le cose?
«Secondo me è un disastro. La Sicilia è autonoma da 70 anni e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Le regioni del Nord, probabilmente, si sono stufate di un Mezzogiorno arretrato. Prevale l'egoismo e viene meno l'idea di sfruttare il Sud come mercato».
Non lo è più?
«In un'economia globale è facile avere la tentazione di puntare altri mercati. Poi c'è una politica populista che cavalca la pancia della popolazione. La responsabilità di questa sfiducia, però, va attribuita a noi meridionali».
L'autonomia differenziata va frenata?
«Va disinnescata. Altrimenti il Paese, già diviso in due con due economie diverse, rischia di vedere istituzionalizzata la spaccatura. C'è un errore, però, che non dobbiamo fare soprattutto».
Quale?
«Darci un alibi. La responsabilità va cercata a casa nostra. Nella nostra classe dirigente».
 


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